sabato 10 marzo 2012

Appunti di viaggio in Emilia, Modena (8)

"Porca madosca"... se t'infili nelle viuzze tutte intorno alla piazza Grande di Modena, da sempre il cuore pulsante della città, splendidamente incorniciata dal Duomo, dalla Torre Ghirlandina e dal porticato del Palazzo Comunale, simboli storici della municipalità ... se t'infili nelle viuzze con le drogherie tutte di legno, le botteghe d'ortolano con la verdura sotto i portici e le osterie che profumano di lambrusco e cotechino, insomma, se riesci ad inciampare in questi reperti "storici" non ancora sfrattati dalle ginserie e dalle paninoteche... allora, il "porca madosca" ti rincorrerà tra le vie strette e i portici bassi a ricordarti che questa terra è terra emiliana... è forse, "porca madosca", la più ricca delle terre emiliane,  e che, "porca madosca", qui, dove ha regnato per secoli il potere spirituale e temporale, per un giorno all'anno di tutti gli anni, a Carnevale, regna Sandrone, la maschera modenese, che pronuncia il suo annuale "sproloquio" dal balcone del palazzo municipale.
E poi il duomo.
Il duomo di Modena, sintesi mirabile di scultura e architettura, venne iniziato sotto la direzione dell'architetto Lanfranco il 9 giugno del 1099 e come non ricordare le sculture del Wiligelmo. due maestri che dal nulla diedero forma e sostanza ad un vero capolavoro di sintesi delle tradizioni lombarde e toscane.  Al tempo stesso un capolavoro che si regge su principi geometrici e ritmici nuovi e alternativi alla tradizione del tempi.  Tutta questione di ritmo, Il ritmo, ad esempio, delle loggette che si ripetono nella facciata.. Ed è ben vero che, mentre l'Antelami in quegli anni riempiva con i suoi capolavori di pietra la facciata del duomo di Fidenza e il Battistero con la Cattedrale di Parma, il Wiligelmo, scultore straordinario e poliedrico, aperto a modelli diversi e circondato, come l'Antelami, da una vera e propria officina popolata di intagliatori, scultori, esperti di metallo,  combinava il suo capolavoro nel duomo di Modena forgiando, nella dura pietra, figure umane e profeti, animali e girali di rami, storie tratte dal libro della Genesi e 40 diversi capitelli, un bestiario favoloso di uomini e mostri, la porta regia in marmo rosso di Verona, e la "porta dei principi" (opera, quest'ultima, del cosiddetto Maestro di San Geminiano e di altri seguaci di Wiligelmo) mentre sull'archivolto ecco gli episodi che raffigurano il ciclo bretone di re Artù; quest'ultima cosa, per certi versi, rappresenta una curiosità. Il bassorilievo venne realizzato nel 1120... 1120? Gli studiosi di Re Artù fanno notare che il ciclo di narrazioni scritte dedicato al signore di Camelot e ai cavalieri della tavola rotonda (la cosiddetta "materia di Bretagna"), già conosciuto sulle isole britanniche e nel nord della Francia, arrivò nella "lontana" Italia soltanto nel 1130... insomma, uno scoop ante litteram. Uno scoppio, invece, annuncia che il "lambrusco" è stato "sturato".
Leggermente aspro ma anche amabile, vivace, spumeggiante, accompagnatore preferito di pasta asciutte e zampone, ecco il "lambrusco", Lambrusca vitis lo chiamavano i Romani, e ancor prima gli Etruschi. Virgilio, Catone e Plinio lo conoscevano così bene da citarlo nelle loro opere, ma  cosa significa "lambrusco"? Anche qui due scuole di pensiero: da una parte c'è chi sostiene che la parola derivi dall'unione dei vocaboli latini labrum e ruscum; per altri, il suo significato verrebbe invece dalle parole latine labens e bruscum. In verità a me piace un'altra storia, dove si racconta che un giorno, durante la nota contesa tra Modena e Bologna, Venere, Marte e Bacco si sedettero in un'osteria per architettare qualche cosa che aiutasse i modenesi ad averla vinta sugli storici "nemici",  così, prima d'andarsene, Bacco diede alcuni semi di vite all'oste. Questi ne ottenne un vino straordinario che portò fortuna a lui e alla città. A chi gli domandava dove avesse preso quella vite, l'oste raccontava la storia di uno strano cliente che gli aveva ordinato un <<vino generoso e schietto>>, quando l'oste gli aveva domandato se lo preferisse dolce o brusco il signore gli aveva risposto: << Io l'amo brusco>> quindi, "porca madosca", ecco il "lambrusco". Bene, questi emiliani che "bagoloni"!
Torniamo al concreto, di lambruschi oggidì se ne trovano tanti, forse troppi. Doc sono quelli di Sorbara, il Grasparossa di Castelvetro e il Salamino di Santa Croce,  preferisco quelli a tiratura limitata, insomma, se si passa dall¹Osteria del Pedroni di Rubbiara non dimenticare di farne scorta. Piedini, stinco, cotechino, zampone, cotiche, orecchie, lingua, cuore, testina, cervello, salsicce, costine... e ancora, polmone, fegato, lombo,sanguinaccio, braciole, rognone, filetto, lonza, spalla, costata, arista,lardo, strutto... e se non bastasse, imprigionati a stagionare al buio, in vescica o nel budello merdaiolo, qui chiamato 'gentile', ecco prosciutti, pancette, coppe, salami, mortadelle e culatello...e di sicuro dimentico qualche cosa. Ah, basta evocarlo, così appetibile, appetitoso e soprattutto allusivo... parla agli ormoni, alle viscere, alle papille, all'immaginazione... eccolo:
il maiale. Ne parliamo domani.

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