sabato 10 marzo 2012

Appunti di viaggio in Emilia: Ferrara (5)

Bello sarebbe domani proseguire, passando per Faenza, Forlì, Ravenna, Rimini, verso la Romagna e il mare, ma... bisogna pur scegliere ed io, prima di tornare nell'Emilia più grassa, scelgo gli Estensi, Giorgio Bassani e, quindi, Ferrara. 

Da Imola, per andare a Ferrara, conviene ritornare a Bologna e prendere la A13 (Uscita Ferrara Sud), oppure la via normale verso Cento (un bel borgo, con via porticate, dignitose architetture del 600 e nella Pinacoteca i quadri del Guercino), Sant'Agostino (zona di funghi e tartufi, doverosa una sosta alla <<Trattoria La Rosa>>, in via del Bosco 2, per i tortelloni di zucca e la faraona al cartoccio) Vigarano Mainarda e, finalmente, Ferrara.
Certamente bisognerebbe munirsi, nell'arrivare in città, dei Taccuini dove D'Annunzio riassunse i ricordi e le sensazioni vissute nel viaggio che lo vide protagonista nel novembre 1898, e con lui rivisitare la storia della città e in quella di una delle più illustri e antiche signorie della penisola, per poi perdersi dilatando con lo sguardo dal palazzo Schifanoia al palazzo dei Diamanti, dalla casa dell'Ariosto alla piccola chiesa di Santa Maria della Consolazione, soffermandosi in particolare sull' "arco de la porta minore (destra) " della Cattedrale, dove si può incontrare "la testa di Madonna Ferrara" e, poco distante, al Castello, la memoria di quel Niccolò III del quale, grazie agli umori contenuti nei tortelli di zucca e nella salama da sugo, ancor di lui si dice: "di qua e di là dal Po, tutti figli di Niccolò".
Eppoi, sempre seguendo il divino poeta, ci si può immergere in un itinerario tutto al femminile. Ecco la casa di Marfisa, la celebre nobildonna estense che, secondo la leggenda, "faceva innamorare e morire", precipitando gli amanti in pozzi irti di rasoi; ecco la tomba della "signora di Ferrara" Lucrezia Borgia ed ecco affacciarsi il tragico fantasma della Parisina, protagonista della vicenda di amore e morte che appassionò poeti e scrittori.                              E allora, all'ombra del Castello, bisognerebbe leggere, ad alta voce, l'ode "Alla città di Ferrara", di Carducci, dove, ancora, viene rievocata storia e preistoria, non mancando cenni di color locale nei riferimenti ai personaggi più rappresentativi, da "Leonora, matura vergine senz'amore" a, di nuovo, "Parisina ardente del sangue natal di Francesca, / che del vago Tristano legge gli amori e l'armi".... a far da controcanto alla "O deserta bellezza di Ferrara, / ti loderò come si loda il volto / di colei che sul nostro cuor s'inclina / per aver pace di sue felicità lontane" di dannunziana memoria...
E come dimenticare, entrando, lì nell'angolo della piazza dove una volta si serravano le porte, nel "Ghetto", come non ripercorrere con la memoria gli otto secoli di presenza ebraica in città? 
Qui, tra le mura umide e scalcinate, par di rivederli quelli dal berretto rosso e le basette arrotolate, prima un minuscolo insediamento presso l'attuale corso Giudecca, poi, dal Quattrocento, nel cuore della città medioevale, nel triangolo tra via Sabbioni (oggi via Mazzini), via San Romano, via Gattamarcia (oggi via Vittoria).
E' storia comune di queste incredibili signorie padane, grazie alla loro benevolenza, soprattutto grazie allo spasmodico bisogno di denaro per i loro vizi o le loro guerre, anche nella Ferrara degli Estensi, confluirono nei secoli, con una certa libertà, le correnti migratorie ebraiche che influirono notevolmente non solo nell'espansione dei mestieri "liberali" e nella cultura ma anche nella gastronomia. Poi, come da nota e infame tradizione cattolica romana e papista, anche per gli ebrei ferraresi arrivò (1624) la costrizione del "Ghetto". Cinque portoni, chiusi al tramonto e riaperti all'alba, bloccavano il quartiere all'inizio e alla fine dell'odierna via Mazzini e delle adiacenti via Vignatagliata e via Vittoria... fino al 1859, quando furono abbattuti dal nuovo regno dell'Italia unita. Oggi, strade, stradine, cortili, percorsi tortuosi, interni e passaggi segreti, tra le case cresciute in altezza per una popolazione stipata in minuscoli ambienti, con i balconi come unico sbocco verde, conservano ancora intatta la struttura architettonica e l'atmosfera dell'intensa vita del ghetto, il cui fulcro è l'edificio complesso e interconnesso delle tre sinagoghe di via Mazzini. Una curiosità: se passate davanti alla cattedrale osservate la colonna che sostiene la statua del duca Borso d'Este: quella colonna è costruita con le pietre tombali dei due cimiteri ebraici abbattute nel 1716.

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