Narrano le cronache di Bologna del 1650: in città 55 parrocchie, novemila tra monasteri, palazzi e case, 72 mila abitanti e 12 mila porci...
Capito bene? Un porco ogni sei abitanti!
Al Museo archeologico nazionale si può ammirare un mortarium,
si insomma, un mortaio di età augustea che serviva già allora per
amalgamare le carni e confezionare il salume cui prende nome la
Mortadella; i monaci di SanPetronio, provetti norcini ed esperti
nell'uso del mortarium, non per niente ne hanno fatto uno dei simboli della città.
A
pensarci, è proprio nei secoli passati sotto il Soglio di Pietro che
Bologna viene chiamata "la grassa". Ancora oggi, nei ristoranti
"bolognesi", la fanno da padrone tortellini, lasagne e tagliatelle nei "primi"; bolliti,
il maiale in tutte le salse, galantine, libidinosi arrosti e fritti di
verdure nei "secondi".
l
mio consiglio gastronomico è, da subito, una visita al ristorante "Da
Bertino", in via delle Lame al 55; trovato posto, salterei decisamente
il solito piatto di salumi d'antipasto (l'antipasto a Bologna, per uno
abituato agli insaccati di Parma, è sofferenza) per inoltrarmi nelle
tipiche tagliatelle bolognesi al ragù di carne (in alternativa lasagne o
garganelli, tutta pasta tirata a mano), proseguirei (attenzione: le
porzioni sono abbondanti) con il divino e fumante carrello dei bolliti o
degli arrosti, finendo con uno dei dolci della casa; per il vino, la
"carta" non è eccezionale, consiglio di restare sui rossi locali.
In
alternativa ai carrelli fumanti di Bertino, si, è un classico del
classico, la tradizione della tradizione, insomma, il mitico "Diana",
sotto i portici di via Indipendenza al 24. Nel locale vige una
particolare atmosfera che ricorda gli anni '30, solo "la carta" è fuori
tempo; a scelta, consiglierei: spuma di mortadella, galantina di pollo,
lasagne verdi, tortellini in brodo, fritto misto all'italiana. Conto,
prego.
Eppoi, digerendo, per
ristorare pure la mente, ecco Bologna con le sue magie: il palcoscenico
è sempre quello di Piazza Maggiore. Da un lato il palazzo, dorata
prigione di Re Enzo, figlio sfortunato dell'Imperatore Federico II, stupor mundi.
Di fronte, la fontana del Nettuno. Dal lato opposto ecco Palazzo
d'Accursio, oggi sede del Comune, sul cui ingresso troneggia la statua
di Gregorio XIII (i simboli chiesastici, a Bologna, sono ovunque) e,
quasi a far da angolo, la basilica di San Petronio dove, basta saperlo
leggere, il gotico esoterico corona lo scenario.
A chiudere la piazza,
i portici di via Clavature, con i negozi belli e le stradine, strette
e ricche, che s'innervano nel corpo di una Bologna umida e medievale.
Basterebbe
quest'angolo di mondo per un mese di storie, storie da vivere e
raccontare.
Invece - da subito, lì dietro quell'angolo di mondo -
eccola la basilica di Santo Stefano, con le sue "sette chiese" una
dentro l'altra, costruita probabilmente sopra un ninfeo isiaco (le
sirene bicaudate, che s'intrecciano tra loro nel capitello del
Martirium, sono una delle intriganti rappresentazioni della dea Iside)
dove l'insieme dei simboli presenti richiamano la Gerusalemme Celeste e
offrono uno spunto per l'Inferno dantesco all'interno del chiostro, dove
le pietre sembrano sempiterni custodi di antiche sacralità nel percorso
che riproduce il cammino evolutivo dell'uomo attraverso le sue sette
chiese.
Eppoi (ma come si fa, rebus sic stantibus , a fermarsi?), finisco nell'antico Ghetto, all'ombra della Torre degli Asinelli.
Poco
prima, ecco piazza Ravegnana dove, all'incrocio con via de' Giudei, vi
era uno dei tre cancelli che chiudevano il Ghetto, e lì, tra via del
Carro e via Canonica, troviamo via dell'Inferno (sempre cari ragazzi,
questi papisti...), probabilmente la via principale del Ghetto che,
all'incrocio con via Oberdam, confinava con il quartiere delle
prostitute.
In via Goito, lì
vicino, nascosto nel tessuto urbano della Bologna tardo-medievale, ecco
Palazzo Bocchi con le sue iscrizioni in ebraico e latino, iscrizioni
che, si racconta, interpellassero l'esoterismo intercettando le correnti
misteriche dell'antico Egitto (ah! di nuovo la dea Iside e i suoi culti
misterici...) con il pensiero a quell'Ermete Trismegisto e il suo
linguaggio esoterico.
E siamo alla Cabala e a quel Merchion Cerrono
che, nel millecinquecento e dispari, fu "Lettore di Logica" presso
l'Università di Bologna, ma soprattutto gran mescolatore di carte che
non dovevano essere mescolate e i cui studi avrebbero contribuito ai
tanti traguardi scientifici del XVII secolo.
Aremotis, qui si rischia la "sindrome di Stendhal"!
Come
faccio ad abbandonare Bologna dimenticando l'onnipresente,
imprescindibile Santuario della Beata Vergine di San Luca, la sul
colle che domina la città.
A domani, a domani.
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