lunedì 5 marzo 2012

Appunti di un viaggio in Emilia. Bologna, il porco e le sette chiese (1)


Narrano le cronache di Bologna del 1650: in città 55 parrocchie, novemila tra monasteri, palazzi e case, 72 mila abitanti e 12 mila porci...
Capito bene? Un porco ogni sei abitanti!  
Al Museo archeologico nazionale si può ammirare un mortarium, si insomma, un mortaio di età augustea che serviva già allora per amalgamare le carni e confezionare il salume cui prende nome la Mortadella; i monaci di SanPetronio, provetti norcini ed esperti nell'uso del mortarium, non per niente   ne hanno fatto uno dei simboli della città. 
A pensarci, è proprio nei secoli passati sotto il Soglio di Pietro che Bologna viene chiamata "la grassa". Ancora oggi, nei ristoranti "bolognesi", la fanno da padrone   tortellini, lasagne e tagliatelle nei "primi"; bolliti, il maiale in tutte le salse, galantine, libidinosi arrosti e fritti di verdure nei "secondi". 
l mio consiglio gastronomico è, da subito, una visita al ristorante "Da Bertino", in via delle Lame al 55; trovato posto, salterei decisamente il solito piatto di salumi d'antipasto (l'antipasto a Bologna, per uno abituato agli insaccati di Parma, è sofferenza)  per inoltrarmi nelle tipiche tagliatelle bolognesi al ragù di carne (in alternativa lasagne o garganelli, tutta pasta tirata a mano), proseguirei (attenzione: le porzioni sono abbondanti) con il divino e fumante carrello dei bolliti o degli arrosti, finendo con uno dei dolci della casa; per il vino, la "carta" non è eccezionale, consiglio  di restare sui rossi locali. 
In alternativa ai carrelli fumanti di Bertino, si, è un classico del classico, la tradizione della tradizione, insomma, il mitico "Diana",  sotto i portici di via Indipendenza al 24. Nel locale vige una particolare atmosfera che ricorda gli anni '30, solo "la carta" è fuori tempo; a scelta, consiglierei: spuma di mortadella, galantina di pollo, lasagne verdi, tortellini in brodo, fritto misto all'italiana.  Conto, prego.
Eppoi, digerendo, per ristorare pure la mente,  ecco Bologna con le sue magie: il palcoscenico è sempre quello di Piazza Maggiore.  Da un lato il palazzo, dorata prigione di Re Enzo, figlio sfortunato dell'Imperatore Federico II, stupor mundi.  Di fronte, la fontana del Nettuno. Dal lato opposto  ecco Palazzo d'Accursio, oggi sede del Comune, sul cui ingresso troneggia la statua di Gregorio XIII (i simboli chiesastici, a Bologna, sono ovunque) e, quasi a far da angolo, la basilica di San Petronio dove, basta saperlo leggere, il gotico esoterico corona lo scenario. 
A chiudere la piazza,  i portici di via Clavature, con i negozi belli e le stradine,   strette e ricche, che s'innervano nel corpo di una Bologna umida e medievale.
Basterebbe quest'angolo di mondo per un mese di storie, storie da vivere e raccontare.
  Invece - da subito, lì dietro quell'angolo di mondo - eccola la basilica di Santo Stefano, con le sue "sette chiese" una dentro l'altra, costruita probabilmente sopra un ninfeo isiaco (le sirene bicaudate,  che s'intrecciano tra loro nel capitello del Martirium,  sono una delle intriganti rappresentazioni della dea Iside) dove l'insieme dei simboli presenti richiamano la Gerusalemme Celeste e offrono uno spunto per l'Inferno dantesco all'interno del chiostro, dove le pietre sembrano sempiterni custodi di antiche sacralità nel percorso che riproduce il cammino evolutivo dell'uomo attraverso le sue sette chiese.
  Eppoi (ma come si fa, rebus sic stantibus , a fermarsi?), finisco nell'antico Ghetto,  all'ombra della Torre degli Asinelli.

Poco prima, ecco piazza Ravegnana dove, all'incrocio con via de' Giudei, vi era uno dei tre cancelli che chiudevano il Ghetto,  e lì, tra via del Carro e via Canonica, troviamo via dell'Inferno (sempre cari ragazzi, questi papisti...), probabilmente la via principale del Ghetto che,  all'incrocio con via Oberdam,  confinava con  il quartiere delle prostitute.
In via Goito, lì vicino,  nascosto nel tessuto urbano della Bologna tardo-medievale, ecco Palazzo Bocchi con le sue iscrizioni in ebraico e latino,  iscrizioni che, si racconta, interpellassero l'esoterismo intercettando le correnti misteriche dell'antico Egitto (ah! di nuovo la dea Iside e i suoi culti misterici...) con il pensiero a quell'Ermete Trismegisto e il suo linguaggio esoterico.
 E siamo alla Cabala e a quel Merchion Cerrono che, nel  millecinquecento e dispari, fu "Lettore di Logica" presso l'Università di Bologna,   ma soprattutto gran mescolatore di carte che non dovevano essere mescolate e i cui studi avrebbero contribuito ai tanti traguardi scientifici del XVII secolo.
 
Aremotis, qui si rischia la "sindrome di Stendhal"!  
Come faccio ad abbandonare Bologna dimenticando l'onnipresente, imprescindibile  Santuario della Beata Vergine di San Luca,  la sul colle che domina la città. 
A domani, a domani.

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