San Luca, Bologna |
E' fatica arrancare su quella specie
cordone ombelicale che è il portico di San Luca. E' fatica arrivare
dalla città fino alla sommità del colle su cui sorge il Santuario. E'
fatica doppia se ci vai dopo pranzo, quando preferiresti lasciare
tranquilli al loro mestiere i succhi gastrici, magari appisolato tra le
fusa del gatto e una carezza amica. Meglio, dunque, mettersi in
"viaggio" (scarpe comode, bottiglietta di minerale, cervello collegato) a
metà mattina. Caffè, veloce lettura del "Carlino", lì nel barino
all'inizio dei portici, e via.
E di nuovo Iside.
Eccolo
il mistero, nascosto dentro la Guardiana del Tempio. Ecco il mistero
di Iside che generò la Vita e il Verbo. Ecco il mistero dell' Iside
nera, nera come la Vergine sul Colle della Guardia. Eccolo il mistero
dipanarsi lungo le 666 arcate del portico di San Luca che conduce fino a
Lei e ci fa prostrare, esausti, di fronte alla sua immagine,
spingendoci nel labirinto della nostra consapevole, tutta terrena,
infedeltà al dogma e al libro che lo proclama.
Eppoi,
bisognerebbe almeno ricordare, salendo, la faccenda sul chi dipinse
l'icona della Madonna Nera di San Luca e sul come la stessa raggiunse
quel colle. E' un poco storia e un poco leggenda. Comunque
affascinante. C'è di mezzo la luna e tutto coincide con la figura di
Iside-Vergine/terranera-alchimia. Ed è storia soprattutto di donne,
prima Angiola, che (siamo nel XII secolo), per sfuggire come tante al
destino familiare di inconsapevole promessa sposa, si ritira in
preghiera tra i boschi del Colle della Guardia, raggiunta poi da
un'altra fanciulla, Angelica, e poi da altre e altre ancora.
Per
accoglierle venne costruito un eremitaggio e la chiesa fu dedicata a
San Luca, fu allora, complice una serie infinita di eventi miracolosi e
leggendari, che la storia del santuario si fuse con quella della Madonna
Nera di San Luca. Cavolaccio, camminando e raccontando, è quasi
mezzodì! Lo stomaco brontola e, nel prepararci alla discesa, una sosta
al, gastronomicamente terribile, ristorante-panineria appena sotto il
Santuario è, oggi, l'unico peccato consentito -omnia munda mundis- a
scanso di cattivi incontri, meglio fermarsi all'insalata. Lasciando le
Due Torri, piazza Maggiore e San Petronio, inseguendo lo spirito e la
carne, infinite sono le possibilità...
Subito,
a un tiro di schioppo, ecco la pianura bolognese con San Giovanni in
Persiceto. Sosta all'Osteria del Mirasole in via Matteotti al 17, dove, a
seconda dell'orario, si può bere un buon caffè, magari gustando i
localissimi e deliziosi Africanetti o le Ciabattine di S.Antonio, oppure
impegnarsi con le "tagliatelle con rigaglie", la "torta di ciccioli a
velo", i "fegatelli all'alloro" e le storie di Bertoldo e Bertoldino,
sgorgate della penna cinquecentesca del persicetano Giulio Cesare Croce.
Poco più avanti Pieve di Cento, la città del Guercino, dove sarebbe da
non perdere il "luccio in lattuga" dell'eccellente ristorante "Buriani
dal 1967"; peccato, non è orario e s'è fatto tardi, e allora via verso
Bentivoglio, dove si può visitare (località San Marino) l'originale
Museo della civiltà contadina, e poi ecco San Pietro in Casale, dove
varrebbe fermarsi al ristorante "Dolce e Salato" in piazza Calori al 16,
considerato un tempio della pasta emiliana in tutte le forme e in tutti
i ripieni, e poi, ancora, una sosta ad Altedo capitale dell'asparago
verde. Ritornando verso la via Emilia, ecco Budrio, terra della
tradizionale cultura della patata cucinata in tutte le maniere
possibili... e dell'ocarina, l'umile strumento musicale che qui trova
patria, dignità e addirittura un museo. Passati i campi di cipolla
dorata, che qui hanno la nobiltà dell'IGP, a Castel Guelfo di Bologna si
può pernottare, in attesa di ripartire per la vicina Imola, alla
<<Locanda Solarola>>. L'accoglienza è di prim'ordine, camere
confortevoli e una cucina emiliana di ricerca particolarmente
innovativa...
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